[Legendary Game Stories #4] Black & White

“Are you a God? No? Then die!”

Quello dei cosiddetti God Game è un genere di videogiochi molto particolare, un genere a sè stante, che merita un minimo di definizione. Si tratta di un genere di tipo simulativo-manageriale dove si impersona una divinità ed è possibile assumere il controllo di interi mondi e di esseri viventi, decidendo la loro sorte tramite un meccanismo di decisioni basate sul bene e sul male. Normalmente questi videogiochi presentano una longevità notevole, in quanto chiedono al giocatore di modellare un pianeta e/o costruire intere civiltà partendo da zero, fornendo al videgiocatore un’esperienza al limite del catartico, sottoponendolo a scelte filosofiche e concettuali che potrebbero determinare il successo o la disfatta della popolazione che, magari con tanti sacrifici, si ha avuto la pazienza e la costanza di crescere e far evolvere.
Il designer di Black & White, Peter Molyneux, è stato il pioniere del genere God Game, nato proprio con l’uscita di Populous  per Bullfrog Productions nell’ormai lontano 1989. Il designer ha introdotto quel tipo di giocabilità, filone per il resto della sua carriera, e che lo ha portato a sviluppare Black & White, per Lionhead Studios nel 2001, frutto di miglioramenti continui avvenuti negli anni in termini di grafica e di complessità di gameplay.

Saper distinguere il bene dal male

Il fulcro del gioco si basa essenzialmente su questa non facile distinzione. Fin dall’inizio, infatti, dopo una breve introduzione che ci farà conoscere la divinità che dovremo affrontare lungo il nostro percorso, con un meccanismo molto simpatico di avatar cattivo (un diavoletto)/avatar buono (un angioletto), verremo posti di fronte alla scelta di una creatura simbolo ed esecutrice materiale del nostro volere (mucca, tigre o scimmia). Come affronteremo le sfide che ci verranno messe di fronte? Saremo un Dio buono o un Dio malvagio? Ci prenderemo cura della gente ed esaudiremo i loro desideri cercando pacificamente di risolvere le situazioni che incontreremo, oppure scateneremo l’inferno punendo con violenza e cattiveria tutti coloro che oseranno sfidare la nostra sommità?
Si, perchè non solo potremo decidere di completare le nostre missioni in modi diversi a seconda del nostro orientamento comportamentale, ma tutto ciò che faremo si ripercuoterà inevitabilmente sulla nostra creatura, che di conseguenza imparerà, tramite un vero e proprio imprinting, a prendere da esempio le nostre gesta e ripeterle in autonomia tramite una discreta intelligenza artificiale. Se il nostro animale noterà, ad esempio, che bruceremo la casa di un popolano scontento e infedele, capirà che è giusto questo comportamento, che non è importante preservare la felicità e la vita delle persone del nostro popolo e, quando affamato, semplicemente le mangerà. Potremo, in ogni momento, carezzare o schiaffeggiare la creatura per farle capire se i suoi atteggiamenti sono stati di nostro gradimento o meno, e portarla sulla strada della redenzione piuttosto che su quella della perdizione. A lungo andare l’animale da noi scelto sarà anche in grado di replicare in autonomia gli incantesimi che useremo, e potrà diventare la salvezza del popolo o un’arma di distruzione di massa.
La trama del gioco, non molto profonda in realtà, si basa sulla nostra creazione come divinità, in seguito alle preghiere di una famiglia in difficoltà, e sulla lotta contro altri dei malvagi e le loro creature, tra cui Nemesis, che sarà anche il “boss finale”. Nel proseguire dei livelli dovremo accrescere la nostra influenza e recuperare i pezzi di un “Credo”, che contribuirà a renderci più potenti e sempre più amati (o temuti) dal popolo, e lo faremo anche completando molte missioni secondarie, tra cui alcune molto divertenti.

Mondi inesplorati

Dobbiamo tenere presente che il gioco è del 2001, e questo è un dato di fatto. Di conseguenza, dal punto di vista grafico, quello che ai tempi poteva far gridare al miracolo, non risulta essere invecchiato benissimo, soprattutto se pensiamo che il gioco era concepito (e se non fosse per delle patch amatoriali, lo sarebbe tutt’ora) per girare ad una bassa risoluzione, quindi bisogna prepararsi ad un dettaglio sgranato e pixeloso, soprattutto a visuale molto ravvicinata. Diverso è il discorso della telecamera in lontananza, dove nel complesso il mondo risulta colorato e luminoso, frutto di scelte artistiche e di design all’avanguardia.
Le musiche e gli effetti sonori, altamente coinvolgenti, sono affidati alle sapienti mani di Russell Shaw, compositore e sound designer inglese candidato BAFTA. Tra i suoi lavori, colonne sonore di giochi legati alla figura di Peter Molyneux e alla Bullfrog, tra cui Dungeon Keeper, Fable, Syndicate, Theme Park, Magic Carpet ecc… Interessante notare che, come avvenuto in giochi come la serie The Sims, il suono è legato alla visuale del momento, e quindi sostanzialmente si concentra sull’evento ripreso dalla telecamera (ad esempio se zoomiamo su un edificio in costruzione, sentiamo il rumore del legno che viene battuto), e questo rende tutto assolutamente immersivo.
Il gameplay resta il punto di forza: faremo tutto attraverso una mano che sarà di fatto il nostro cursore per tutta la durata dell’esperienza. Con la nostra mano divina, utilizzando i due tasti del mouse, potremo afferrare oggetti o persone, lanciarli, attivare pergamene, interagire con la nostra creatura e addirittura tracciare segni nel terreno per attivare incantesimi. Ma mentre la fisica del gioco risulta molto ben fatta (sarà molto soddisfacente prendere la mira e tirare pietre al villaggio avversario per abbattere i suoi edifici), evocare gli incantesimi richiederà molti tentativi, e diventerà a lungo andare un’operazione tediosa e frustrante, se non impareremo a padroneggiarla correttamente.
Dal punto di vista puramente simulativo, Black & White si presenta come un city builder in miniatura, nel senso che, anche se non sarà la meccanica principale, dovremo comunque preoccuparci di accumulare risorse e costruire edifici per allargare i nostri villaggi, o di fondarne dei nuovi per espandere la nostra influenza sull’isola di gioco. La differenza con altri giochi simili è che, essendo divinità, potremo noi stessi raccogliere le risorse dal mondo circostante, disboscando alberi o raccogliendo direttamente grano dai campi disseminati qua e là, anzichè farlo fare solamente dai popolani (a cui, tra l’altro, potremo assegnare determinate competenze e specializzazioni). L’influenza divina è rappresentata da un confine virtuale, una linea morbida e ondeggiante all’interno del quale potremo costruire e produrre incantesimi. Sarà quindi importante avvicinarsi il più possibile al nemico se la nostra intenzione è quella di tirargli palle di fuoco, perchè potremo lanciarle solo dall’interno della nostra zona di competenza, o evocare incantesimi di vario genere.

E il settimo giorno, egli si riposò…

E’ giunto il momento di tirare le conclusioni su questo titolo che a distanza di 20 anni risulta ancora oggi fondamentale per la storia dei videogiochi.
Black & White è un gioco amabile, piacevole e divertente da giocare, dalla buona longevità e dalla curva di apprendimento estremamente dolce, che restituisce un senso di appagatezza perchè consente di riflettere il proprio essere o di interpretare un personaggio del tutto opposto al nostro, se lo vogliamo. Il fatto di non dover essere vincolati a giocare in un certo modo ci lascia la libertà di agire e di risolvere le situazioni come meglio crediamo, affrontando poi le conseguenze delle nostre scelte, ma consapevolmente e consciamente.
Al di là della poca profondità della trama e delle meccaniche relativamente classiche dei titoli simulativo-manageriali, il punto forte di questo videogioco risulta quindi essere la possibilità di esprimere il proprio io, di mettere se stessi all’interno della storia o all’interno della nostra creatura. Visibile nell’immediato il principio fondamentale di azione-reazione, attraverso un mondo che vive, che muore, che pulsa e che continua ad esistere anche senza il nostro intervento, fermo restando che, come in tutte le religioni, anche nel culto di Black & White la nostra essenza divina ha bisogno di mostrarsi, ogni tanto, per mantenere vivo l’interesse del popolo e permettergli di avere uno scopo “superiore” a cui afferire per continuare a dare un senso alla propria esistenza.