[Masters of Reality #1] Area – Arbeit macht frei (1973)

N.B.: tutto ciò che seguirà è solamente frutto della mia personale interpretazione, non ci sono riferimenti a interviste, articoli di giornale, su web o qualsiasi altra opinione che non sia la mia.

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Il lavoro rende liberi. Una frase celebre per la sua associazione al nazismo e ai campi di concentramento dove migliaia di ebrei vennero uccisi barbaramente. Ma pensateci bene: è una frase bellissima, che potrebbe fare da slogan a qualsiasi periodo storico, soprattutto recente.
Nel 1973 esce il primo album degli Area. Di chi parliamo? Parliamo di uno dei più grandi e innovativi gruppi rock progressive della storia italiana. Il rock progressive è un genere musicale nato a cavallo fra gli anni ’60 e gli anni ’70 come naturale prosecuzione del clima di progresso che si stava vivendo, ma allo stesso tempo come dura reazione ad alcune realtà soprattutto internazionali che stavano sconvolgendo il mondo. A livello musicale, il genere fonde una serie di stili musicali e sperimenta suoni e rumori per creare qualcosa di completamente nuovo e mai ascoltato prima d’ora. I brani non hanno più una sequenza ben precisa, si alternano fasi del tutto strumentali ad alcune cantate senza una vera logica; gli strumenti si uniscono per generare melodie originali e diverse da quelle a cui l’orecchio umano era così abituato negli anni ’50 e ’60, soprattutto in Italia dove la musica d’autore era assolutamente prevalente. Gli Area International Popular Group tentano di fondere i vari stili da cui provengono i singoli elementi del gruppo stesso (chi dal rock, chi dal blues, chi dal beat, chi dal jazz..) per arrivare a comporre qualcosa di totalmente nuovo. Piccola premessa sul frontman del gruppo: tanto per cominciare ha sempre sostenuto di non essere un frontman, ma che gli elementi del gruppo erano talmente importanti, ognuno a modo suo, che senza di uno di loro il gruppo non avrebbe avuto modo di esistere, quindi non c’era nessuno “superiore” agli altri. Ad ogni modo, lui si chiamava Demetrio Stratos (nome d’arte di Efstratios Demetriou, artista di origine greche naturalizzato italiano) ed era uno dei più grandi talenti del nostro tempo, studioso della voce come pochi altri al mondo e morto giovanissimo per una malattia ai tempi ancora troppo poco conosciuta e studiata.
L’album in questione è il primo in ordine cronologico del gruppo, ed è composto da 6 tracce.

Luglio, Agosto, Settembre (Nero)

Partiamo forte, questa canzone, assolutamente attualissima, parla del conflitto in medio-oriente tra palestinesi e israeliani. La poesia iniziale, in stretto arabo, recitata da una ragazza palestinese, prega il proprio amato di depositare le armi e di raggiungerla per coronare il loro sogno d’amore. E d’altronde gli Area, con le loro musiche arabeggianti ci ricordano che siamo tutti ospiti di questo mondo, che è inutile farsi la guerra perchè l’epilogo sarà lo stesso per tutti, indipendentemente da ciò che vogliamo ottenere nella nostra breve esistenza. Dobbiamo quindi “cercare l’essenzialità” delle cose per avere una visione a 360° di ciò che il mondo ci pone di fronte agli occhi. Ed è anche vero che è inutile ignorare quello che accade lontano da noi (e qui si riferisce all’indifferenza degli occidentali di fronte ad un problema grave come quello del medio-oriente) perchè siamo tutti parte di questo mondo e quindi “un dì sapremo quello che vuol dire affogar nel sangue con l’umanità“. Un testo molto profondo, rabbioso, disperato, che si evince anche dalla musicalità distorta e confusionaria dell’intermezzo fra la seconda e la terza strofa, dove probabilmente si fa riferimento alla distruzione che la guerra può portare. Davvero incalzante e ben costruito il crescendo della fase finale della canzone, strumentale e vocale.

Arbeit macht frei

Canzone omonima rispetto all’album stesso, dove la frase rispecchia nelle stesse parole 2 diversi e profondi significati: da una parte l’importanza del lavoro come forma di libertà dell’uomo, che attraverso di esso riesce a rendersi indipendente e collaborare affinchè la società possa continuamente migliorare ed evolvere; dall’altra, la tragicità degli eventi della seconda guerra mondiale, dove le parole erano marchiate a fuoco nei cancelli d’entrata dei lager nazisti. Là, dove migliaia di ebrei, omosessuali, diversi, vennero uccisi barbaramente, e dove tali parole letteralmente sbeffeggiavano il mondo, considerando che un campo di prigionia riportava a caratteri cubitali all’ingresso la parola “libertà”. Un controsenso storico come se ne sono visti davvero pochi. E forse gli Area volevano parlarci più del lato positivo della frase, perchè solo chi è misero, umile e consapevole può capire che “arbeit macht frei“, che il lavoro rende liberi, e che sempre e solo il lavoro ci libererà. Libererà da cosa? Dalla miseria stessa, dalla tetra economia, dalla non-consapevolezza di ciò che i potenti stanno riservando alla povera gente, che mira solo alla sopravvivenza. Dal punto di vista musicale, il brano si apre con dei rumori di sottofondo (una goccia d’acqua, suoni industriali, delle voci) per poi partire con la melodia vera e propria, dove poche e semplici parole si alternano a fasi strumentali dove tastiere, batterie e chitarre si fondono perfettamente a incorniciare un tema così importante.

Consapevolezza

Forse la consapevolezza del titolo è quella che Stratos citava nel precedente brano, ma questo ahimè non lo sapremo mai. Nel testo, gli Area ci chiedono di fare uno sforzo rispetto a quello già fatto, ovvero di “far partire il nostro ascensore“. Beh, detta così, ci verrebbe un po’ da ridere. Che vuol dire “far partire il nostro ascensore”? La risposta è nella prima strofa, dove si evince chiaramente che il nostro “ascensore” non è nient’altro che il nostro cervello, e “farlo partire” significa metterlo in moto, utilizzare la nostra intelligenza e il nostro intuito per elevarci al di sopra degli altri e capire cosa nel mondo non sta funzionando. Fatto questo? Beh, molto semplice: “tu allora vedrai tutta la squallida realtà“. Non è esattamente la migliore delle prospettive, ma è dannatamente vera. In ogni epoca storica del nostro e dei secoli precedenti ci sono eventi che hanno segnato negativamente l’umanità, ma chiudere gli occhi e far finta di nulla non elimina questi eventi, ci permette solo di evitarli e crogiolarci nella nostra bolla di vetro fatta di labili certezze. Gli Area denunciano questa forma di omertà, ci pregano di fare questo sforzo e di prendere la propria morale, “imprigionata nella mediocrità“, di elevarla e di prendere il potere. Non male come immagine. Insomma, acquisiamo consapevolezza. Musicalmente parlando, c’è una grande preponderanza di strumenti a fiato e di tastiere, oltre che di chitarra nella parte centrale, il tutto sempre intramezzato dall’incredibile voce di Stratos. Più o meno a 2/3 della canzone gli Area lasciano anche spazio ad una parte più soft, dove sia noi che loro possiamo riprendere fiato e riflettere prima di tuffarci nell’ultima e importante strofa, dove finalmente scopriremo cosa dovremo fare per raggiungere la tanto agognata consapevolezza.

Le labbra del tempo

Un altro grande brano. Quello del tempo è un argomento molto delicato da affrontare, di cui grandi scienziati e filosofi hanno discusso nei secoli discernendo teorie su teorie. Nonostante tutto, il tempo ci affascina ancora… Molti lo chiamano “la quarta dimensione”, a me piace pensare che il tempo esiste da sempre, prima del mondo, prima dell’universo, e scorrerà sempre, qualsiasi cosa succederà a noi o all’universo stesso. Forse perchè è astratto, è intangibile, è incontrollabile, è inarrestabile, o forse perchè è assolutamente al di là delle nostre capacità mentali anche solamente la sua comprensione. Fatto sta che gli Area cercano di dare una connotazione umana al tempo, “incolpandolo” di risvegliare quegli istinti che gli umani hanno perso in favore di una ragione, di una “idiota idealità“, attraverso la sua “forza muta“. Molto significativa l’ultima strofa, dove di nuovo Stratos denuncia l’omertà, stavolta quasi giustificandola, definendo gli omertosi “facce sporche di paura“. Perchè il mondo fa paura, il mondo inteso come uomo, come umanità, che fa a guerra con sè stessa per avere potere. Emblematico e a tratti incomprensibile il finale, non si capisce bene quale sia il diritto che gli Area intendono. Forse qualsiasi diritto, un diritto generico di vivere, di vivere il proprio tempo, o forse il diritto di esprimere la propria rabbia attraverso “gesti, urla“. E’ anche vero che quando si pronuncia o si scrive la parola diritto, non è importante quale esso sia, sono tutti equamente sacrosanti. Strutturalmente la canzone è molto più lenta delle precedenti, soprattutto nella prima metà, poi vi è un intermezzo che ricorda un po’ le atmosfere spaziali di film come Guerre Stellari o Dune (per chi non li conoscesse, vi consiglio caldamente di guardarli) e il finale arrembante con la voce straziata e urlata di Stratos al suo meglio. Bellissimo brano.

240 chilometri da Smirne

Brano esclusivamente strumentale, solo da sottolineare che Smirne è una città della Turchia.

L’abbattimento dello Zeppelin

Finale dell’album spettacolare con un ricordo storico, quello del dirigibile LZ 129 Hindenburg, zeppelin tedesco che il 6 maggio 1937 per cause ancora sconosciute (forse un guasto, forse un sabotaggio) esplose provocando decine di morti nell’equipaggio e nei passeggeri. Gli Area estremizzano questo evento tentando di dare una spiegazione fantascientifica al tutto, ipotizzando una colpa che in realtà non c’è, inventando che qualcuno abbia volutamente fatto esplodere il dirigibile in volo. E chi lo può dire? Nessuno, solamente il vento.. Perchè “il vento mi ha detto che morirò“. E dunque? Dunque nulla, l’evento ha letteralmente terminato l’epoca del trasporto di passeggero a bordo di aeronavi. Quello che è certo è che la combinazione di gas infiammabili, di tempo atmosferico, di incompetenza dell’allora equipaggio e forse una dose di sabotaggio, hanno sconvolto un’epoca in cui di viaggi aerei ancora si parlava pochissimo. Ma tornando a parlare di musica, non c’è una vera e propria musicalità nella voce di Stratos, che parla anzichè cantare. Voce tremolante, scenica, quasi potremmo dire teatrale, dissimula una colpevolezza che non c’è, ma che ci sembra così dannatamente reale. E così dannatamente reale è la fusione degli strumenti, del sax, della batteria, delle tastiere, della chitarra e del basso che rendono questo brano la degna chiusura di un album celebre e assolutamente innovativo.

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Gli Area sono: Demetrio Stratos, Giulio Capiozzo, Patrick Djivas, Patrizio Fariselli, Paolo Tofani, Victor Edouard Busnello.

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